Venezia e il Veneto hanno potuto vantare, nei tempi prerivoluzionari, una Repubblica che ha dominato i mari e stupito il mondo per la sua organizzazione e stabilità politica, per molti secoli; uno Stato che, pur con vicende umane alterne, ha promosso la religione e ne ha fatto il suo fondamento; uno Stato che ha vissuto di arte e bellezza quanto pochi altri. Cessata quella gloria di un tempo, e caduta Venezia sotto l’altrui dominio, ancora doveva vedersi al Veneto riservata una gloria immortale, forse più grande di molte altre passate. Il Veneto, lo diciamo senza timore, ha dato i natali all’uomo più intelligente del Novecento. Quest’uomo è Giuseppe Sarto, il Papa San Pio X.

Avremmo potuto dire semplicemente: “il Veneto ha dato i natali all’ultimo Papa Santo”; o anche “al più grande Papa degli ultimi secoli”. Ma abbiamo preferito dire “all’uomo più intelligente del Novecento”. Questo potrebbe stupire chi ricorda Papa Sarto come il simpatico parroco della campagna veneta, di buon cuore, sul quale circolano tanti piacevoli aneddoti, finito suo malgrado ad occupare una Cattedra fin troppo alta per la sua umiltà.
Tutte cose vere, ma che limiterebbero la figura del Santo Pontefice a una specie di pia macchietta. Giuseppe Sarto (questo il suo nome al secolo) fu effettivamente un uomo semplice, nato nel 1835 a Riese, da una famiglia notoriamente povera. Il padre Giovanni Battista era un modesto cursore (una sorta di messo comunale) dell’amministrazione austriaca, la madre Margherita Sanson arrotondava con piccoli lavori di sartoria. Compì i suoi studi in seminario grazie a una borsa di studio, fondata dal suo compaesano il Cardinale Monico, Patriarca di Venezia. Fu forse l’unico Papa ad aver svolto veramente e lungamente un vero ministero parrocchiale: dopo la sua ordinazione nel 1858 nel duomo di Castelfranco, divenne cappellano a Tombolo per nove anni, arciprete di Salzano per altri nove anni, poi cancelliere vescovile e direttore spirituale del seminario di Treviso per altri nove anni; per nove anni fu poi Vescovo di Mantova, scelto da Leone XIII per l’ottima fama di pastore di cui godeva, e poi Cardinale e Patriarca di Venezia per altri nove anni, prima di essere eletto Papa nel 1903, contro ogni sua aspettativa.
Non vogliamo fare questo articolo una raccolta degli aneddoti e dei fioretti di cui è riempita la biografia del Santo. A noi interessa mostrare in tre punti come il Pontefice veneto fu il più libero, il più intelligente e il più pastorale della storia moderna.
Il Papa più libero
San Pio X fu il Papa più libero, in quanto più coraggioso, della storia recente. Senza nulla togliere ad altri Papi che nell’evo moderno si sono opposti al mondo senza paura, san Pio X affrontò il laicismo di fronte, a qualsiasi costo. Privo del potere temporale, Pio X continuò la volontaria prigionia in Vaticano iniziata da Pio IX, a protesta per l’occupazione dei territori della Chiesa da parte del neonato e sedicente “regno d’Italia”. Prigioniero volontario per non sottostare a nessuno, si trovò a sfidare altre potenze terrene: appena dopo la sua elezione, ribadì al mondo che nessun potere umano poteva intervenire nell’elezione del Pontefice Romano. In effetti Francesco Giuseppe, pretestando un abusivo ed inesistente diritto di esclusiva, aveva voluto impedire al Cardinal Rampolla dall’elezione al Soglio. Il conclave aveva reagito aumentando il numero di voti per il Rampolla, ma poi sotto la spinta di altre considerazioni aveva prevalso la candidatura del Cardinal Sarto. Sarebbe falso dire che il veto austriaco fosse stato decisivo, anzi lungi dal provocare consenso provocò lo sdegno del Sacro Collegio, anche verso quel Cardinale polacco che se ne era improvvidamente fatto latore.
Pronto a continuare la prigionia volontaria a ribadire i diritti della Santa Sede di fronte al mondo, san Pio X fu anche fermissimo nella lotta con lo Stato francese, che aveva unilateralmente denunciato il concordato napoleonico e proclamato la separazione dello Stato e della Chiesa, confiscando tutte le proprietà ecclesiastiche, comprese le chiese parrocchiali e i beni del culto. San Pio X non solo condannò in linea di principio la separazione, ricordando che per la rivelazione divina la società civile deve essere soggetta a quella ecclesiastica (enciclica Vehementer nos, 1906), ma impedì ogni sottomissione alle imposizioni del governo, che per concedere alla Chiesa l’uso dei beni confiscati imponeva condizioni che avrebbero snaturato la struttura e la libertà della Chiesa stessa, Fu quindi pronto a rinunciare a tutti i beni ecclesiastici in Francia pur di restare libero. Povero, ma libero, così come era nato. E a tale modello volle si conformasse l’episcopato francese, dando esempio di coraggio veramente evangelico. Personalmente, all’altare della Cattedra di san Pietro, consacrò quattordici nuovi vescovi, senza ingerenze del governo, mandandoli a reggere le diocesi galliche. Un’analoga situazione si verificò con la separazione dello Stato e della Chiesa in Portogallo nel 1911, e il Pontefice levò la sua voce libera con l’enciclica Iamdudum.
Quale differenza abissale con i moderni Papi, che sono diventati in modo sempre più marcato l’eco di poteri esterni alla Chiesa, i cui slogan ormai ripetono nei modi più beceri e triviali, e che non solo non hanno saputo rinunciare ai beni terreni, pur di piacere agli uomini, ma hanno svenduto la dottrina di Gesù Cristo pur di rimanere a galla. Si sente a volte raccontare la fiaba del “povero” Ratzinger che ha abdicato perché sottoposto a minacce di ordine finanziario per il suo “conservatorismo”: ammesso e non concesso che fosse vero, e fermo restando il fatto che Benedetto XVI fu liberale e modernista, in che cosa crede un uomo che non è disposto a restar fermo al suo posto sotto minaccia di perdere dei beni? Un comportamento, se fosse andata così, che dimostra solo la grande differenza tra la fede di Papa Sarto e la filosofia mondana e moderna del Ratzinger. Così pure, al clero e ai fedeli che capiscono la situazione della Chiesa, san Pio X insegna a non aver paura di rinunciare ad alcunché pur di restare fedeli.

Il Papa più intelligente
Durante la sua vita, Papa Sarto fu criticato o preso in giro (in modo più o meno benevolo) come sempliciotto, uomo che aveva studiato poco, incapace di comprendere le novità del mondo accademico e della moderna filosofia. Purtroppo per i suoi detrattori, san Pio X la “moderna filosofia” l’aveva capita davvero, ed è per questo che ebbe l’intelligenza di condannarla con tutto il vigore possibile. Perché aveva capito che dietro quella “cultura” pomposamente vantata si nascondevano l’orgoglio e l’eresia più tremenda, e in realtà anche una profonda sfiducia nelle capacità metafisiche della ragione umana.
Ci riferiamo ovviamente all’opera capitale del Pontificato di Papa Sarto, la condanna del modernismo. Il modernismo non è un errore comune, non è la classica eresia. Al contrario, potrebbe anche esistere pur mantenendo tutte le formule dogmatiche del cattolicesimo, come di qualsiasi altra religione. Perché per il modernista Dio e la sua Rivelazione in realtà non sono conoscibili, ed ogni discorso su Dio è solo l’espressione di un sentimento interiore, non di una realtà esteriore. Ecco perché discorsi contraddittori o evolutivi sul dogma diventano possibili: perché tanto il dogma non esprime realtà eterne, ma risponde ad esigenze momentanee. Se si capisce la portata di tali princìpi, che sono poi effettivamente entrati nelle teste della gerarchia cattolica, si capisce la vigorosa reazione di san Pio X: egli, nel concepire esattamente la gravità di questo male, si dimostrò di una penetrazione intellettuale non più raggiunta dai successori. Non che il coltissimo Leone XIII non avesse a suo modo cominciato a intervenire sull’argomento; ma è stato il santo Pio X che, contemplando la Realtà suprema, cioè l’Essere divino, che ha potuto capire la malizia profonda di coloro che avevano pervertito completamente la Verità. L’enciclica Pascendi (1907) e i durissimi provvedimenti contro quei sacerdoti e intellettuali che si dicevano cattolici, ma che avevano vuotato di senso ogni dogma, furono sotto ogni aspetto il capolavoro del pontificato di Papa Sarto, il compimento perfetto dell’ufficio papale di confermare nella fede e di escludere gli eretici. Un capolavoro, lo abbiamo detto, innanzitutto di penetrazione intellettuale.

Il Papa più pastorale
Il clero moderno e modernista, da Giovanni XXIII a Papa Francesco, ha fatto delle esigenze “pastorali” una chiave di cambiamento della dottrina, appunto per rispondere ad esigenze umane, invece che trasmettere la pura dottrina rivelata. A sentir loro sembra che, prima del loro avvento, nessun Pontefice si fosse preoccupato del proprio gregge, visto che non aveva adattato la dottrina alle presunte esigenze dell’uomo di oggi.
San Pio X non aveva solo versato sul popolo inquinato l’acqua della dottrina celeste con il suo celeberrimo catechismo; non solo aveva fornito in san Tommaso d’Aquino un altissimo modello di formazione intellettuale ai saggi incantati dal demone modernista; ma aveva soprattutto compiuto ciò che ogni Pastore ha come primo incarico: nutrire il gregge. Lo lasciamo spiegare a Tolkien, il famoso scrittore inglese, che così dice in una lettera del 1963 al figlio Michael, poco prima dell’apertura del Concilio Vaticano II:
«Ma per me quella Chiesa di cui il Papa è capo riconosciuto ha un merito maggiore, e cioè quello di aver sempre difeso il Santo Sacramento e di avergli reso sempre onore e di averlo messo (come Cristo voleva) al primo posto. “Nutri le mie pecorelle” fu il Suo ultimo incarico a San Pietro; e dato che le Sue parole vanno sempre intese alla lettera, suppongo che fossero riferite principalmente al Pane della Vita. È stato contro questo che venne lanciata la prima rivolta dell’Europa occidentale (la Riforma) – contro “la favola blasfema della messa” – e le opere della fede sono state una falsa pista. Credo che la più grande riforma del nostro tempo sia quella portata avanti da san Pio X: superando tutto quello, di cui pur c’era bisogno, che il Concilio deciderà. Mi chiedo in che stato sarebbe la Chiesa se non fosse per quella riforma».
La riforma a cui si riferisce è il decreto di san Pio X Quam singulari (1910), con il quale il Papa ripristinava l’età di sette anni per la comunione dei bambini, e la possibilità della comunione quotidiana e della distribuzione della Comunione a tutte le Messe, superando le incertezze delle diverse scuole di spiritualità sull’argomento e soprattutto gli orrori dello spirito giansenista. Come si vede leggendo Tolkien, una riforma che non è il simpatico favore fatto a una cerimonia per bambini da un caro nonnino, ma l’esercizio del tremendo ufficio di pascere il gregge con il Corpo e il Sangue della Vittima divina, unico nutrimento delle anime di cui il Successore di san Pietro è Padre e Pastore per volontà del Risorto. L’esatto opposto dei moderni Papi elogiatori di Lutero, che hanno devastato la Messa e la fede nella presenza reale del Cristo nell’Ostia consacrata, e che si ingegnano di dare il Corpo adorabile del Cristo a chi non ne è degno, dagli eretici agli adulteri, per i quali non è nutrimento ma condanna.
Molte altre cose sarebbero da dire su un pontificato così grande, e molte delle dette sarebbero da approfondire. Ma basti quest’abbozzo per enunciare al mondo che il Papa veneto canonizzato nel 1954 da Pio XII è stato veramente il più grande uomo del Novecento, colui che capì e colpì la radice dei mali che oggi devastano la Chiesa e il mondo, colui senza il quale saremmo senza luce in questa crisi, colui senza il quale saremmo senza cibo in questa carestia spirituale.

Fonte: https://www.destrabrenta.it/san-pio-x-papa-veneto-il-piu-grande-uomo-dei-tempi-moderni/ (visitato in data 23/07/2021)
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